
PARTY LIKE IT’S 2009
Al mondo ci sono due tipi di persone: quelli che restano fino alla fine della festa – che ordinano la vodka a domicilio alle 2 di notte e si occupano della selezione musicale una volta che il padrone di casa è svenuto sul divano – e gli altri, gli ospiti che, una volta stabilito che il loro personale apice di divertimento è stato raggiunto, se ne vanno senza dire una parola.
Sia che siate favorevoli alla filosofia “Leave-While-It’s-Still-Fun” o che consideriate un obbligo morale essere sempre l’ultimo in piedi, avrete probabilmente notato che ultimamente stare sui social media vi fa sentire come se i vicini avessero chiamato la polizia e steste solo aspettando che bussino alla porta.
La maggior parte delle persone con cui parlo delle “app” mi confessano che ormai le “frequentano” per abitudine, si trattengono molto più a lungo del previsto e provano sempre più spesso qualcosa di simile al disgusto una volta smesso di scorrerle.
Ma questo non sarà l’ennesimo “j’accuse” su come i social stiano impoverendo la nostra umanità a 360 gradi, perché ci sono tonnellate di informazioni su questo argomento e io sono la fondatrice di una catena di negozi di second-hand, non una sociologa.
Voglio invece esaminare alcuni dei problemi specifici che Meta (per semplicità, mi concentrerò solo su questo) pone alle piccole e medie imprese come BIVIO Milano – e il motivo per cui ho deciso di rispolverare un mezzo digitale Y2K per lo più dimenticato, come l’umile blog, nel tentativo di “festeggiare” come se fossimo nel 2009.
L’INIQUITÀ DI GIOCARE SULL’UNICO CAMPO DI GIOCO
Il fatto è questo.
Nei “tempi che furono” – che per noi “Generazione X” sono durati fino ai trent’anni – una impresa locale sgangherata ma solida come BIVIO Milano non si sarebbe mai sognata di occupare lo stesso spazio pubblicitario di brand internazionali, prestigiose testate giornalistiche, VIP e celebrities. Una catena di negozi di abbigliamento di seconda mano di medie dimensioni in una città come Milano non sarebbe mai apparsa sulle pagine di una rivista patinata, su un cartellone pubblicitario allo stadio o sulla RAI – tanto meno avrebbe cercato di competere con i team creativi di aziende pubblicitarie da miliardi di dollari di fatturato.
Che cosa hanno in comune i miei negozi indipendenti sparsi nel tessuto di una capitale europea di medie dimensioni con colossi aziendali come Nike, L’Oréal, Disney o LVMH? Non molto. A parte il fatto che ci si aspetta che coinvolgiamo gli stessi Clienti sulle stesse piattaforme.
Come scrive il giornalista e autore americano Chris Hayes nel suo avvincente libro The Sirens’ Call: How Attention Became the World’s Most Endangered Resource e spiega in un’altrettanto eccellente intervista su Vox, “… l’informazione è illimitata. Ci sono tonnellate di informazioni. Ciò che è scarso e prezioso è l’attenzione. Quindi tutti devono lottare per averla“.
Come individui, voi e io potremmo (e potremo) decidere domani di disconnetterci da Instagram per una settimana, un mese o per il resto della nostra vita e, se credete agli esperti, sembrerebbe che gli aspetti positivi supererebbero quelli negativi se lo facessimo. Ma come ogni imprenditore sa, è impensabile non essere sui social media, oggi. Se la vostra azienda ha a che fare con il commercio o con un servizio di qualsiasi tipo, DEVE essere presente. E al giorno d’oggi, questa presenza è innegabilmente “pay to play”.

Perché la verità è che Instagram, X, TikTok e tutte le app di social media non sono più “reti sociali”, “canali di contenuti creativi” o addirittura piattaforme di “condivisione di informazioni”: esistono solo per vendere l’attenzione di un utente ai marchi che vogliono acquistarla. Tutto qui. Questo è il loro modello di business.
Quindi, se BIVIO Milano – proprio come il vostro bar preferito per la prima colazione, il parrucchiere e lo studio di yoga – deve “comprare quell’attenzione” insieme ad aziende che spendono più in un mese in pubblicità online di quanto BIVIO spenda in un anno per un dipendente, allora, onestamente, sembra che il gioco sia truccato. Perché, ovviamente, è così.
Anche con la verifica garantita dal “blu check” (il cui nuovo modello “a più livelli” va dai 15 ai 500 dollari al mese) aggiunta alle migliaia di euro che investiamo all’anno in “spese di marketing” – per non parlare della persona che paghiamo per gestire quegli annunci – il nostro “marketing” e il nostro “brand storytelling” hanno smesso di essere divertenti o creativi e ora sembrano semplicemente un esercizio di matematica per inseguire un algoritmo che nessuno capisce e che sembra cambiare senza preavviso o spiegazione molto frequentemente. E siccome siamo preda di un capitalismo imbizzarrito, c’è un ecosistema bello florido di marketer e consulenti digitali felicissimi di aiutare aziende come la nostra a navigare in questo sistema… in cambio di ulteriori canoni mensili o di sessioni di “consulenza individuale”. Non è che questi esperti non producano “risultati misurabili”, è che a un certo punto una piccola impresa con risorse limitate deve decidere come impiegare al meglio il proprio tempo, le proprie energie e il proprio denaro.
Naturalmente, tutto questo è ancora più frustrante per un’azienda come BIVIO, un’attività di vendita al dettaglio che è nata – e rimane – principalmente “offline”. Se fossimo un “direct to consumer” brand, o un’azienda il cui obiettivo fosse vendere felpe biodegradabili, spazzolini elettrici di qualità o fermenti lattici per animali domestici a Clienti esigenti in tutto il mondo, ovviamente investiremmo un fracasso di soldi per cercare di farci notare da persone che non incontreremo mai e che non metteranno mai piede nel nostro posto di lavoro. Ma da BIVIO siamo specializzati in articoli unici e “orfani” in cerca di una nuova casa. Compriamo e vendiamo migliaia di questi articoli ogni anno, 7 giorni su 7, e non sappiamo mai cosa arriverà o verrà acquistato da un momento all’altro in una delle nostre quattro sedi. Il che significa che, una volta che quello specifico maglione girocollo, blu scuro a maniche lunghe, taglia M di Ralph Lauren, verrà venduto al prezzo di 39 euro il terzo venerdì di marzo, potremmo non averne un altro per tutta la stagione. Che senso ha fotografarlo e metterlo online? Meno del 10% delle nostre entrate proviene dalle vendite “a distanza”. Il resto viene dalle persone che entrano nei nostri negozi e comprano ciò che è fisicamente esposto lì. Quindi, per quale motivo BIVIO dovrebbe “pay to play” con queste regole? Non ha bisogno di occhi, ma di piedi.
QUANDO IL CAPO NON HA RESPONSABILITÀ

Come posso dirlo in modo gentile? Il capo di Meta è un cretino fotonico. È talmente cringe che non gli permetterei di offrirmi da bere in un bar nemmeno se fosse l’ultimo uomo sulla terra (anche perché temo che sia in parte un bot). Il bro è diventato miliardario all’età di 23 anni eppure sostiene che le leggi sulla privacy e i limiti all’hate speech mettano in pericolo i suoi “valori fondamentali”. Il solo ascoltarlo parlare sembra una violazione del buon senso e della decenza.
Dal punto di vista strettamente commerciale, lavorare con la sua azienda sembra una proposta fallimentare nei giorni buoni… o un giochino perverso in quelli cattivi. BIVIO ha inviato regolarmente a Meta ingenti somme di denaro per oltre un decennio, eppure Meta ha bloccato il profilo di BIVIO Milano due volte in due anni senza alcuna spiegazione. Io, Hilary, sono riuscita a “recuperarlo” solo perché io, Hilary, sono amica di una persona che conosceva persone che conoscevano persone che lavoravano per Meta, e io, Hilary, ho trascorso circa 200 ore – ore della mia vita che non riavrò mai indietro – dedicate esclusivamente a implorare aiuto da amici di amici di amici, perché tentare di ottenere risposte o risultati attraverso i canali “ufficiali” era inutile. Per dirla in parole povere: in quell’azienda da 1,7 trilioni di dollari non c’era nessuno che avesse il compito di spiegare in che modo BIVIO avesse violato i termini di servizio di Meta o di comunicarci se e come avremmo potuto recuperare un decennio di duro lavoro.

Vabbeh, ok.
Se non fosse che ieri ho dovuto rispondere personalmente a un’e-mail di un Cliente furibondo che minacciava di chiamare “le autorità” perché uno dei miei collaboratori si era rifiutato di rimborsargli una giacca da 80 euro acquistata sei settimane prima e la cui “cerniera continuava a bloccarsi”. Il Cliente stava indossando la giacca quando è entrato nel negozio per chiedere il rimborso.
Al suo rifiuto, ha scritto una e-mail di fuoco a… beh, alla mia azienda. E come ci ha raggiunto? Semplicemente utilizzando l’indirizzo e-mail che si trova sul nostro sito web. E indovinate chi ha risposto alla sua e-mail? Io. Di domenica. Perché? Perché sono il capo. Allora, come mai un’attività di abbigliamento di seconda mano moderatamente redditizia, gestita da una madre divorziata che vive in un appartamento in affitto con due camere da letto, è tenuta a garantire standard più elevati e un servizio clienti migliore di quella gestita dalla terza persona più ricca mai esistita dagli albori dell’umanità?
Come diciamo su Instagram (per evitare i Robot Overlords), “F*ck that Sh:t”
GUARDARE AL PASSATO PER LA QUALITÀ (NON SOLO DEI VESTITI)
Come rivenditore di abbigliamento di seconda mano, BIVIO è un’azienda con gli occhi ben puntati sul passato. Il nostro modello di business è interamente circolare e consiste nel selezionare e acquistare capi “di ieri” da persone che non li indossano più, per rivenderli – con l’opportuno markup – a persone che li indosseranno. Essendo convinta che la fregola capitalista che spinge verso una crescita infinita porterà alla rapida distruzione del nostro pianeta e della maggior parte degli esseri viventi che lo popolano, ho fondato BIVIO tredici anni fa, non tanto per un interesse verso i vestiti o la moda in sé, quanto per la convinzione che la ridistribuzione dei beni non sia solo una questione morale, ma anche pratica. Naturalmente, la maggior parte delle persone non trova questo tipo di discorso particolarmente hot, quindi il marketing di BIVIO ha sempre puntato molto sui vestiti. In fondo, siamo a Milano.
I nostri Clienti – per lo più adorabili e non inclini a boicottarci per una cerniera inceppata – rappresentano segmenti davvero diversi per nazionalità, orientamento, età e potere d’acquisto. Alcuni sono attratti dallo shopping di seconda mano per “l’affare” (cioè articoli di lusso ad un prezzo accessibile) e altri, come me, si sentono più ispirati quando il consumo ha un po’ di “friction”: è la scoperta che lo rende divertente.
Chiunque si vesta e presti attenzione a come i propri abiti appaiano e “si sentano addosso”, concorderà che, in generale, i vestiti di una volta erano fatti meglio. E lo sanno soprattutto gli italiani, molti dei quali possiedono ancora armadi pieni di capi realizzati interamente a mano “dalla sarta”. Tuttavia, acquistare abiti realizzati decenni fa non significa solo che siano stati prodotti secondo standard più elevati, ma anche sfruttare uno dei modi più semplici per ottenere uno “stile unico”, così tanto ambito al giorno d’oggi. I più talentuosi sanno che integrare elementi di epoche diverse è la via migliore per non assomigliare mai a nessun altro, e le persone veramente “stilose” non assomigliano mai a nessun altro. Io, che mi ritengo una nostalgica-pragmatica, mi chiedo spesso perché questa ricerca della qualità nell’abbigliamento non si traduca altrettanto facilmente nella comunicazione.
La Gen-Z è la generazione che più di recente ha avuto accesso al reddito, quindi le aziende di tutti i settori concentrano gran parte della loro strategia di marketing sui modi per catturare questa fetta di consumatori. Potreste leggere le numerose ricerche di mercato, oppure potreste semplicemente credere a me quando dico che sì, i “ragazzi di oggi” sono profondamente interessati all’usato. Dato che metà del nostro staff ha meno di trent’anni e che la Gen-Z rappresenta una parte fondamentale della nostra Clientela, una gran parte del mio lavoro consiste nel capire cosa piaccia a questa generazione, cosa cerchino queste persone, come collaborare e comunicare con loro.
Posso anche dirvi che la tendenza Y2K esiste per davvero; non appena nei nostri negozi arrivano articoli che mi fanno venire voglia di nascondermi sotto un tavolo (jeans a vita bassa, abiti a sottoveste con orli asimmetrici, tute di Juicy Couture), state certi che le giovani Clienti con un po’ di soldi da spendere se li accaparrano più velocemente di quanto riusciamo a metterli in esposizione. E non si tratta solo di vestiti.

Dalle Gilmore Girls su Netflix, alla giovane Britney su Spotify, fino alle fotocamere digitali, i primi anni 2000 hanno catturato l’immaginazione dei ventenni. È logico: i ragazzi che non hanno mai conosciuto la cultura “offline” hanno nostalgia di qualcosa che sentono così familiare essendo eppure già così lontano. Noi della generazione X siamo cresciuti ascoltando Prince, ma è la generazione Z che ha voglia di fare festa come se fosse il 1999.
Ecco perché ho pensato che un BIVIO blog sia perfetto per questo momento e per raccontare la nostra specifica attività. La nostra piccola azienda ha molte storie interessanti da condividere e da tredici anni riusciamo a fare qualcosa che sembra un miracolo: creare una catena di negozi “locali” e indipendenti, dove la gente può entrare per acquistare vestiti da persone che conosce, vestiti che noi abbiamo acquistato da persone che conosciamo. Sono molto orgogliosa del nostro business model pragmaticamente nostalgico e sono grata che stia funzionando, anno dopo anno. Ma sono stanca – e credo lo sia anche il nostro staff – di raccontare le “storie” di BIVIO esclusivamente attraverso un algoritmo progettato da miliardari il cui obiettivo finale è eliminare ogni “friction” (cioè l’umanità) da ogni aspetto della vita quotidiana e le cui aziende privilegiano le transazioni rispetto alle interazioni.
Non lasceremo la festa e non chiameremo la polizia. Andremo semplicemente a fare colazione nel nostro locale preferito, ci siederemo e faremo conversazione con i nostri amici, lontano dalle orecchie dei Robot Overlords.
Ciao, amici. Benvenuti sul BIVIO blog.
Hilary
Da oggi la mia lettura preferita. ❤️
Letto tutto in un fiato! Ben felice di riattingere dal passato anche per i mezzi di comunicazione ♥️ grazie!
Che dire… analisi lucida e assolutamente condivisibile. Secondo me, rispolverare il blog è un’ottima idea. Avere un proprio spazio, indipendente, è come ricevere le persone in casa propria. Ed è una grande differenza rispetto ai social, perché nei social siamo invece ospiti in casa altrui – e quindi dobbiamo rispettare le loro regole, che ci piacciano o meno. Quindi… blog tutta la vita!
Con stima e simpatia,
Manu
Bellissima idea rispolverare il blog. Non appartengo alla GenZ (mia figlia sì però) ma sono stata educata al rispetto per l’ambiente sin da bambina, ero un’adolescente che comprava con soddisfazione immensa il second hand nei mercatini e della sostenibilità (ambientale, economica, sociale) ne ho fatto una questione prioritaria nel mio lavoro. Impossibile quindi non essere innamorata della vostra realtà e dei vostri valori inclusa l’importanza che date allo scambio interpersonale e alle piacevoli conversazioni con la clientela. Team sempre perfetto, voto 10 su tutta la linea!
Grazie Cinzia, il bello di fare questo lavoro — oltre ovviamente i vestiti — sono i rapporti umani! E ci tenevamo fare questo passo proprio per dare valore allo “scambio” anche di idee! Felici di averti qua!
Manu, è esattamente così. Avevamo voglia di stare un po’ a casa “nostra” perché ultimamente i padroni di casa ci sembrano un pochino ostile 😉 Grazie di esserci, tu che ne sai della comunicazione xoxox
Ecco! Andiamo in avanti facendo un passo indietro…grazie della tua presenza anche qui. >3
Che bello leggerti ancora
😉
Ciao a tutto il team di Bivio. Condivido totalmente l’analisi di Emanuela e sono d’accordo con Hilary per il blog… e’ bello risentire la tua voce, l’aspettavamo!!
Team perfetto … venire da Voi e’ sempre un piacere perché ti senti a casa
Grazie Annamaria! Sono contenta che ci sei anche qui xoxo
Hilary è geniale e divertente, la sua squadra è fuori dall’ordinario. Pieni di passione e professionalità. Tutto ciò rende BIVIO UNICO e SPECIALE!
Come sempre, un modo originale e colorato per contrastare il sistema.
Bellissima idea il blog, sempre edificante leggerti Hilary
Grazie Adri, bellissimo sentirti ancora vicina!
Grazie a te che sei una tifosa preziosissima xoxox
Bellissima iniziativa ✨
Finalmente una lettura interessante, bello leggere come trasmetti i valori dell’intero team di BIVIO.
L’idea di rispolverare il mezzo di comunicazione quale il blog lo trovo geniale.
Non vedo l’ora di leggerti ancora !!
Grazie mille!
Grazie era proprio questo il nostro pensiero! A tra pochissimo 😉